Lavoro in una grande azienda di telecomunicazioni…in un edificio freddo moderno ed informale che, per quanti sforzi abbia fatto il costruttore, non riesce ad essere anonimo solo perchè… “stupidamente” grande.

Non molto tempo fa durante la pausa pranzo, in una giornata grigia… umida e piovigginosa mi recavo, con andatura lenta ed assorto nei miei pensieri (cose che si sposano mal volentieri nella mia città pena il divorzio dal portafogli), a fare colazione in un ristorantino non molto lontano dall’ufficio.

Un signore di mezza età… (forse tre quarti) vestito elegantemente… abito grigio, camicia azzurra, borsa in pelle, mi tagliò la strada e il mio chiacchierio mentale fu interrotto bruscamente nel notare uno strano gonfiore sul suo orecchio destro.

Feci fatica a capire e a riconoscere che quel gonfiore era causato da un oggetto un… bluetooth, uno degli ultimi ritrovati della telefonia che si calzano all’orecchio e sono sintonizzati sul proprio cellulare, smarthfone o palmare… 

Geniale nella sua idea questo apparecchietto, per ora costoso, tra non molto sarà utilizzato da tutti… Utile e alquanto scomodo, credo che sarà talmente diffuso ed indossato da essere “inglobato” dal nostro padiglione auricolare… Anzi credo che tra un certo numero di generazioni nasceranno bambini con un bluetooth al posto dell’orecchio destro…

E’ tanta la voglia e la necessità di comunicare che paradossalmente saremmo disposti a “modificarci geneticamente” pur di soddisfare questa esigenza…

Comunicare è diventata una necessità impellente ed è una cosa che caratterizza profondamente i nostri tempi… comunicare non solo le nostre esigenze ma anche le nostre idee, il nostro modo di essere, la nostra visione della realtà utilizzando il corpo, il linguaggio, il vestire, lo scrivere.

Spesso limitati dallo “strumento” che adoperiamo ci rivolgiamo ad altre forme di comunicazione per esprimere sentimenti e sensazioni, stati d’animo e impulsi… Musica, pittura, scultura, fotografia, poesia, e perché no arti marziali diventano strumenti e veicoli di una comunicazione più “approfondita” e sicuramente più diretta.

E’ innegabile che in tutto il mondo esistono moltissimi, stili e forme di Aikido (allegato A – pag.1) riunite sotto associazioni e federazioni che tutelano e rappresentano queste espressioni e sempre più molte persone si avvicinano ad una di queste organizzazione per poter apprendere e praticare.

Compito di una organizzazione è quello di curare aspetti organizzativi e tecnici e per far si che i propri consociati possano migliorare e progredire, bisogna codificare sempre più e sempre meglio questi aspetti. Inevitabilmente questo genera un linguaggio verbale e non verbale veicolo di comunicazione, scambio, e comprensione tra i componenti di questa organizzazione, ai quali viene data (allegato G – pag.24) una “struttura” somma di informazioni, conoscenze tecniche, formazione e preparazione. Questa “struttura” varia ovviamente a seconda dell’organizzazione e delle finalità che ogni gruppo si è saputo dare e costruire.

Ne consegue che il linguaggio acquisto e la comunicazione scaturita funziona solo tra gruppi di persone (praticanti) appartenenti alla stessa comunità e diventano incomprensibili per chi è “strutturato” in maniera diversa.

Se dico “Scuola quadri” per la nostra associazione ha un significato ben preciso per un altro gruppo “rappresenterà” tutt’altra cosa… cosi per Ikkyo che avrà significati, esecuzioni e principi diversi a seconda dello “stile”.

Il tipo di aikido che si pratica diventa quindi di …”parte”… si ghettizza, diventa fazioso e perde inevitabilmente il messaggio di fondo lasciatoci dal Fondatore, la sua… “universalità”.

La struttura” concepita come elemento di formazione diventa quindi a lungo andare una trappola (allegato E – pag.14) ed un elemento di isolamento per il praticante che si allontana dal suo gruppo in quanto perde la possibilità di comunicare con elementi di altre “comunità” correndo il rischio di mettere o essere messi in difficoltà dal… “linguaggio di un’altra struttura” (allegato B – pag.6), da un praticante di un altro “stile” o addirittura da un aggressore esterno che non mai praticato arti marziali. In ambito generale queste differenze di “strutture” generano inimicizie tra le persone, razzismo tra i popoli, odio tra religioni.

Una struttura” quindi, che ha avuto come finalità uno scopo ben preciso, diventa la rete in cui si resta avviluppati e intrappolati, diventa elemento coercitivo (allegato H pag.30) per la mente e deterrente per la spontaneità del corpo (allegato F – pag.19) deve, sottolineo deve necessariamente essere abbattuta…

Per innalzare ponti, un’impresa di costruzione si serve di strutture (ponteggi), che si perfezionano sempre più nel tempo. Completata l’opera, se queste non vengono abbattute, è impossibile utilizzare il ponte.

Destrutturate” quindi… Liberarsi di una serie di elementi, forme e concetti, serviti unicamente per apprendere principi. Questo mi ricorda molto gli ultimi anni di O-Sensei o Yamaguchi che si muovevano senza forma e senza schemi. Liberi e non più condizionati dal pensare, dal proprio corpo (allegato D pag. 12) e dalla tecnica stessa.

Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che ci vogliono anni per arrivare a questo.

Certo la conoscenza tecnica è “un aspetto” fondamentale ed indispensabile. Esiste molta differenza tra un pittore Naif e uno che proviene dall’accademia di belle arti, tra uno che suona il pianoforte ad orecchio e uno che ha frequentato il conservatorio. Approfondirla e migliorarla dovrebbe e deve essere un processo che da non interrompere mai (il grande Arthur Rubinsteinin età molto avanzata si esercitava al pianoforte nove ore al giorno). Ma è importante sottolineare che questo è un…”tramite”… un “mezzo” e non una finalità. Picasso, dopo un periodo di quattro o cinque anni di istituto artistico presso la “Llotja” (strutturazione) ed altrettanti di accademia presso “S.Fernando” (destrutturazione) ha iniziato la sua attività artistica.

Queste due fasi implicano la consapevolezza di un qualcosa che sia diverso da un semplice sistema di insegnamento ed apprendimento di scarne tecniche tese ad un’efficacia finalizzata ad una sopraffazione del nostro caro, accondiscendente e addomesticato compagno di allenamento…

Arte Marziale”… Credo che la cosa sia meritevole di una discussione approfondita (allegato C pag. 10) in quanto, da una serie di considerazioni, possano scaturire riflessioni piuttosto rilevanti su cosa facciamo, perché lo facciamo e qual è la finalità.

“L’esperienza giornaliera c’insegna che la gente ‘vede’ le cose in modo diverso, (allegato L pag. 32) che ogni persona ha una nozione leggermente differente di realtà. Quando cultura, tecnica, sensibilità, estro e fantasia concorrono ad esprimere questa differente realtà possiamo parlare di arte. L’arte costituisce, quindi, una…parte di questo processo di definizione della realtà. L’artista usa strumenti mentali diversi rispetto allo scienziato, egli rovescia il processo, partendo dal concetto e muovendosi verso l’analisi piuttosto che nell’altra direzione; l’artista ha una mitologia personale altamente sviluppata e profonda, una visione del mondo creata con molta immaginazione e che arriva in profondità. Ogni sua opera, ogni sua azione di ricerca, ogni suo pensiero, diventa una manifestazione di quel mondo, e ci permette di sperimentare l’immagine di quella realtà così come quel creatore la concepisce.”

Un’organizzazione, nasce, cresce, si evolve solo se ha ben chiaro il processo di formazione nella sua interezza… Se perde di vista questo obbiettivo corre il rischio che si possa inculcare come vera una… traduzione e trasposizione di questa finalità. Diversamente come un artista non abbandona mai l’idea di dipingere o suonare assisteremo sempre più all’abbandono di gradi elevati.

Apprendimento tecnico, perfezionamento tecnico, destrutturazione sono i tre capitoli principali che dovrebbero caratterizzare un processo formativo. I primi due sono più o meno curati in tutte le organizzazione. Manca il terzo, manca la struttura e la didattica della destrutturazione.

Condizionamento, prevedibilità ed imprevedibilità, spontaneità, adattabilità, timing (allegato m pag.33) sono solo alcuni degli aspetti di questo processo.

Per concludere vorrei ricordare che il m° Tissier e il m° Yamaguchi prima di lui, hanno sottolineato spesso che l’Aikido insegna ad avere un incontro e non uno scontro sul piano fisico e quindi è una Via di relazione e questa implica a sua volta un linguaggio…

Ma il linguaggio è la costruzione e la proiezione di una rappresentazione della realtà e questa rappresentazione non riuscendo ad esprimerla la sostituisce e la soppianta.

Anche se possiamo asserire oggettivamente che esistono oggetti al di là della nostra conoscenza, esiste solo ciò che conosciamo e conosciamo solo ciò che riusciamo ad esprimere attraverso l’uso del linguaggio.

La realtà quindi è quella che percepiamo e quello che percepiamo varia ogni giorno per cui la realtà cambia con noi…

Ogni giorno che passa ho l’occasione di constatare l’impermanenza ed instabilità delle cose attorno a me. Tutto muta rapidamente spesso lasciandomi orfano di quelle belle, calde certezze che un tempo mi cullavano il cuore ed alle quali mi tenevo stretto come ad ancore di salvezza. Mutevoli, a maggior ragione mi appaiono le idee ed i principi su cui poggia il mio pensare.”

Giovanni Granone